Dalle barriere alla necessità di un cambio di visione delle imprese. Ancora troppo spesso si guarda alle abilità piuttosto che alle capacità.
di Giulia Delogu, Communications & Sustainability Consultant
Sono passati quasi 20 anni dalla firma della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, eppure – nonostante siano la minoranza più ampia al mondo – le lavoratrici e i lavoratori disabili continuano in gran parte a essere esclusi dal mondo del lavoro, con ricadute negative tanto dal punto di vista della giustizia sociale quanto da quello della prosperità economica.
Anche nel cosiddetto Nord Globale, cioè l’insieme di quei Paesi considerati più sviluppati su un piano socio-economico, le organizzazioni spesso esitano davanti alla scelta di assumere persone con disabilità, con la conseguenza che anche quelle con qualifiche adeguate sono sottorappresentate nella forza lavoro. Nonostante qualche segnale incoraggiante dopo la pandemia, in Italia il tasso di occupazione delle persone disabili in età lavorativa si ferma al 30%1, la metà di quello delle persone senza disabilità. Non solo: molti di quelli che hanno un lavoro non riescono a sfuggire a posizioni precarie, poco retribuite e di primo livello.
Cosa si può fare, dunque, per garantire un mercato del lavoro più inclusivo?
La prima sfida è legata alle barriere visibili e invisibili. Le politiche sulla disabilità hanno eliminato molte delle prime e garantito un migliore accesso a spazi fisici e virtuali, ma quelle più insidiose restano le barriere sociali come lo stigma, gli stereotipi e la discriminazione. È proprio per paura di queste barriere che in Italia circa il 46%2 di chi lavora non rivela la propria condizione di salute all’azienda e, quando lo fa, nel 43% dei casi sente di subire discriminazioni.
La seconda sfida ha a che fare con il punto di vista adottato dalle imprese, che oggi insiste ancora troppo spesso sull’abilità piuttosto che sulle capacità, portando a storture e rappresentazioni fuorvianti della realtà. I responsabili delle assunzioni spesso sottovalutano il numero di candidature che ricevono da parte di persone con disabilità, così come sottostimano il numero di persone disabili che l’organizzazione ha già in organico.
La ragione di questo equivoco sta proprio nella prospettiva da cui si osserva il mondo: finché si parte dalla convinzione che le persone con disabilità non siano sufficientemente qualificate, non è possibile vedere tutte quelle che lo sono o che potrebbero diventarlo se messe nelle giuste condizioni.