UNA COMODA BUGIA

Alle aziende spetta una multa di € 196,05 al giorno per ogni posizione obbligatoria non coperta da lavoratori disabili. Ma tali sanzioni vengono davvero irrogate?

di Carlo Giacobini, analista e divulgatore

 

Quante volte avete letto e sentito ripetere il refrain “Le aziende preferiscono pagare le sanzioni anziché assumere persone con disabilità”? È un ritornello sconsolante e rinunciatario che implicitamente liquida le responsabilità del mancato funzionamento del collocamento mirato ora alle insensibilità aziendali, ora a fallimenti normativi, ora alla supposta esiguità delle sanzioni. Un’affermazione che, ad un esame un po’ più approfondito, dimostra la sua distorsiva inconsistenza e non individua le reali questioni.

Attualmente la sanzione prevista per le aziende (con più di 15 dipendenti) che non ottemperano agli obblighi assunzionali di lavoratori con disabilità è pari 196,05 euro al giorno per ciascuna posizione in quota d’obbligo non coperta, cioè per ogni lavoratore non assunto. Tradotto in “costo” mensile per l’azienda fanno 5.880 euro; annuale 70.560 moltiplicato per le posizioni non coperte.

Chi ha un minimo di dimestichezza con bilanci aziendali si starà chiedendo quale datore di lavoro sia disponibile e in grado di sostenere quella spesa, anziché assumere un lavoratore con disabilità e destinarlo piuttosto, supponiamo e nemmeno tanto per assurdo, ad una mansione fittizia o a smart working o altro, tanto per assolvere l’obbligo.

Se poi consideriamo che a quella spesa si aggiunge anche il mancato accesso ai significativi incentivi per l’assunzione, quell’affermazione iniziale appare ancora più lontana dalla sostenibilità razionale. Dov’è l’homo oeconomicus fulcro di ogni idea imprenditoriale?

Poniamoci allora lo scomodo interrogativo: quelle sanzioni vengono davvero sistematicamente irrogate?

I proventi delle sanzioni confluiscono, per legge, nei Fondi regionali per l’occupazione delle persone con disabilità. Nell’esame delle disposizioni regionali che finanziano i rispettivi Fondi mediamente non si trova traccia di quanto derivi da sanzioni o contributi esonerativi. Sembra che quegli introiti non esistano o siano insignificanti. Sicché le risorse provengono dai bilanci ordinari regionali.

Questo è quantomeno bizzarro. La più recente Relazione sullo stato di attuazione della legge 68/1999 (la XI, dati 2021, Ministero del Lavoro) ci informa che a fine 2021 c’erano 162.454 scoperture, posti di lavoro destinati a persone con disabilità non ancora occupati. Se moltiplichiamo anche solo una parte di quella cifra (limitandoci al comparto privato) per gli importi delle sanzioni di cui sopra, i Fondi regionali dovrebbero essere traboccanti di risorse. Ma così non è. Anzi.

A questo punto, fino a prova contraria, discende la fondata ipotesi che quelle sanzioni non vengano affatto irrogate sistematicamente. Ripercorriamo l’iter teorico. Ogni azienda obbligata al rispetto della legge 68/1999 deve presentare ogni anno (se cambia il numero degli addetti) il Prospetto Informativo Disabili (PID) che dà conto degli obblighi e delle coperture. Il PID è telematico e dunque tecnicamente disponibile ai servizi quasi in tempo reale.

I controlli sul collocamento mirato sono demandati ai servizi competenti territorialmente che operano presso i Centri per l’impiego, ai quali è affidata la gestione operativa, in quanto strutture locali di emanazione regionale. Le sanzioni, tuttavia, che seguono alla diffida elevata dai servizi per il collocamento mirato nei confronti dei datori inadempienti, sono irrogate dagli Ispettorati territoriali, ai quali vengono pure trasmesse tutte le diffide cui non sia stato dato un seguito entro il termine di 30 giorni.

Operativamente come dovrebbe funzionare? I servizi per l’impiego rilevano una scopertura. Contattano l’azienda e, richiamando l’obbligo, segnalano le varie opzioni possibili: assunzione tramite chiamata nominativa, assunzione dopo una preselezione che il Centro può svolgere, sottoscrizioni di convenzioni. 

Se l’azienda non adotta nessuna di queste soluzioni o non risponde, parte la diffida a cui segue (dovrebbe seguire) la sanzione.

Va inteso lo spirito di questa norma: la sanzione è una leva per innescare soluzioni e supportare aziende e persone in una logica di politiche attive, non uno strumento punitivo mirato a rimpinguare le casse pubbliche o a mantenere lo status quo.

Questo sistema però comporta che ogni attore, politico e amministrativo, svolga la propria funzione in modo coordinato con gli altri. Con tutta evidenza questo ancora oggi non accade e la frase iniziale non spinge all’analisi del fenomeno e men che meno al cambiamento.

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