MAINSTREAMING DELL’INCLUSIONE: LA FILOSOFIA DI ITALIADECIDE

intervista ad Anna Finocchiaro, Presidente italiadecide

Presidente Finocchiaro, come italiadecide si impegna a promuovere la gender balance e la diversità nei processi decisionali? 

taliadecide ha una composizione prevalentemente femminile. Sono donne la Presidente, la Direttrice Scientifica, la Coordinatrice dell’Osservatorio sui contratti pubblici, attività importante di italiadecide. Sono donne tutte le collaboratrici della scuola di formazione in materia di cittadinanza responsabile. Inoltre, vogliamo che i nostri eventi, le nostre ricerche, le nostre elaborazioni vedano sempre  la presenza femminile.

Non abbiamo dovuto fare nessuno sforzo di inclusione. Ci occupiamo di discipline diverse tra loro e non abbiamo mai avuto difficoltà a trovare donne di altissime competenze, anche scientifiche, che partecipassero ai nostri progetti. È sempre spontaneamente derivato, anche perché essendo donne le persone che si occupano delle attività dell’associazione contano su di un network con forte presenza femminile. 

 

Ci sono iniziative specifiche che l’organizzazione sta attuando per garantire una rappresentazione equa e inclusiva?

Con italiadecide non facciamo iniziative specifiche riguardo le tematiche di gender balance e diversity. Io credo nel mainstreaming, ossia nel fatto che il pensiero delle donne, le loro competenze, le loro riflessioni, la loro produzione scientifica debbano attraversare tutti i diversi campi di attenzione dell’associazione.

Ci sono poi occasioni particolari in cui facciamo delle iniziative dedicate, come per esempio, nel mese di marzo la presentazione del libro di Rossana Cavaliere dal titolo “Leonardo Sciascia negli occhi delle donne: Tessere di un mosaico al femminile”.

Il testo raccoglie interviste di importanti giornaliste, scrittrici di prestigio, opinioniste, ma anche accademiche, editrici, imprenditrici, che, a diverso titolo, animano il mondo della cultura. Viene raccontata la tranche de vie che queste donne hanno diviso con Leonardo Sciascia, fornendo un altro punto di vista sulla sua biografia e sulla sua opera. 

 

Secondo lei, quanto lavoro c’è ancora da fare affinché sempre più realtà abbraccino il pensiero inclusivo come quello di italiadecide?

Sempre più donne hanno responsabilità apicali dentro le aziende. italiadecide crea un network tra mondo scientifico, accademico, imprese e Pubblica Amministratore e sempre con maggior frequenza ci capita di rapportarci anche con donne che vengono in rappresentanza delle aziende.

Non c’è dubbio però che ci sia ancora molto lavoro da fare: sappiamo che la competizione nel sistema imprese è molto alta. In più le giovani donne spesso scontano il fatto che il momento apicale della loro carriera coincida con l’arrivo di un figlio: questo inevitabilmente sottrae tempo al lavoro.

Il problema è che nel nostro Paese l’assenza di una donna dal posto di lavoro per avere dei figli o per dedicarsi alla loro cura è considerato un incidente, un inciampo (anche se siamo uno dei paesi con il più basso tasso di natalità) e non viene valutato per quello che è, ossia lo straordinario contributo delle donne italiane per la crescita, non solo demografica del paese, l’assistenza e la cura di bambini e anziani. Il mondo dell’impiego è ancora incentrato sul modello del lavoratore maschio capofamiglia: un punto politico e culturale che non si riesce a scardinare. 


Come vede la mentalità delle nuove generazioni in merito ai temi di diversità e inclusione?

Molto volte mi capita di parlare nelle scuole con ragazzi e ragazze. Secondo me la situazione sta migliorando: le ragazze sono in piena esplosione, più partecipi, più brave a scuola, vincono di più concorsi pubblici. 

Anche le relazioni tra i giovani stanno cambiando, ma continuano a resistere gli stereotipi. Lo stereotipo è rassicurante, il nuovo è destabilizzante. Questo influisce anche nelle relazioni personali perché misurarsi con la libertà e l’autonomia femminile conduce a traumi e difficoltà talvolta così gravi da sfociare nella violenza. Il suo uso pare rivolto, a fare rientrare nell’ordine “normale”, cioè tradizionale e consueto di subordinazione femminile, donne che manifestano il diritto di decidere per sé della propria vita e delle proprie scelte. 

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