Intervista a Oscar La Rosa, fondatore di Economia Carceraria
Il progetto che rende il lavoro nei penitenziari strumento di reintegrazione sociale e crescita economica
Che cos’è e come nasce Economia Carceraria?
“Mi sono avvicinato al mondo del lavoro in carcere attraverso il progetto ‘Volontariamente’ promosso dall’Università Luiss e attraverso il quale ho conosciuto l’associazione Semi di Libertà Onlus presieduta da Paolo Strano, che si occupa di produrre birra artigianale offrendo formazione professionale e lavoro a ragazzi detenuti del carcere di Rebibbia. Dopo un anno di lavoro e volontariato decidiamo di organizzare a Roma un grande festival dell’economia carceraria, invitando cooperative e imprese da tutta Italia che assumono persone in esecuzione penale a presentare i loro prodotti e raccontare le proprie esperienze. L’iniziativa ebbe un forte successo sia di partecipazione che di copertura mediatica, evidenziando come mancasse una rete di valorizzazione, promozione, distribuzione e commercializzazione dei prodotti realizzati in carcere.
Un mese dopo il festival fondammo la società Economia Carceraria srl, al fine di avere uno strumento che potesse occuparsi di distribuire e vendere tali prodotti in eventi e fiere di settore e proporli al portfolio clienti che acquistavano già la nostra birra artigianale. Il passo successivo è stata la creazione dell’e-commerce per facilitare i privati consumatori nell’acquisto dei prodotti e infine l’apertura del pub Vale la Pena a Roma, un luogo dove degustare i prodotti realizzati dalle persone in esecuzione penale. I quattro principali asset di Economia Carceraria sono quindi l’e-commerce, la rivendita attraverso piccole botteghe equo solidali, gli eventi e le fiere e infine il nostro pub.”
Com’è stata la risposta ai prodotti di Economia Carceraria?
“C’è sempre un po’ di diffidenza quando si propone qualcosa che viene dal carcere; battute e stilettate più o meno fastidiose e banali sono all’ordine del giorno. Per questo è fondamentale curare la comunicazione, i brand, i claim e i packaging, oltre a scegliere materie prime di qualità e possibilmente a km 0. Si prova anche a sdrammatizzare le condizioni di vita della persona reclusa divertendoci con i nomi da dare ai prodotti e alle cooperative che li producono. In questo modo sono nati i brand quali Banda Biscotti, Dolci Evasioni, Caffè Galeotto, Libere Golosità o Cotti in fragranza.
I costi di produzione poi influiscono molto sul prezzo di vendita ed è quindi difficile immaginare una concorrenza di prezzo con prodotti similari del mondo al di fuori dalle carceri. Per questo proponiamo ai nostri rivenditori di creare dei corner dedicati dove esporre solamente prodotti dell’economia carceraria. In questo modo non è raro che una persona si avvicini per curiosità o filantropia, acquisti un prodotto e, dopo averlo provato e averne riconosciuto la qualità e la bontà, torni per un nuovo acquisto dando fiducia anche ad altri prodotti. È il caso di dire che attraverso un corner si nota come l’unione faccia la forza!”
Quali sono infatti le difficoltà dei costi di produzione e di distribuzione? E come funziona il sistema di retribuzione dei detenuti?
“I costi sono sicuramente maggiori perché le economie di scala sono ridotte in carcere. Esiste un limite fisico ma anche simbolico che impedisce di aumentare la produzione: il muro che separa il carcere dalla società civile. All’interno del quale bisogna adeguarsi alle regole dell’amministrazione penitenziaria. Gli orari di lavoro, per esempio, devono rispondere alle esigenze organizzative del carcere (è difficile immaginare turni di lavoro notturno), così come la logistica per l’entrata di materie prime e l’uscita dei prodotti deve essere adeguata alle direttive dell’amministrazione. Infine, il costo più elevato è il risultato della formazione della persona detenuta, un rischio d’impresa non indifferente considerando le possibilità di improvviso trasferimento o di liberazione anticipata.
I detenuti-lavoratori godono di una busta paga e di un contratto conforme al CCNL che garantisce loro gli stessi diritti e doveri dei lavoratori del mondo ‘libero’. In questo caso, lo stipendio viene versato dal datore di lavoro nelle casse dell’amministrazione penitenziaria che lo accredita su un libretto personale del detenuto. È altresì vero che una parte di questo (circa un terzo) viene trattenuto dal carcere per coprire le spese di mantenimento, permettendo quindi l’estinzione del debito con lo Stato al momento della scarcerazione.”
Quali sono i benefici di (ri)entrare nel mondo del lavoro dopo aver scontato la pena? E quali, invece, per le imprese che decidono di assumere ex detenuti?
“In realtà è fondamentale iniziare già a lavorare durante il periodo in carcere, come d’altronde è previsto dall’articolo 20 dell’ordinamento penitenziario. Il lavoro è un diritto e un dovere che la Costituzione riconosce a ogni cittadino, quindi anche ai detenuti. Il lavoro permette di definire chi siamo, ci permette di occupare uno spazio nella società, trasforma l’individuo da soggetto passivo a parte attiva e produttiva contribuendo alla crescita economica del Paese. Insegnare questo a chi, cresciuto in contesti famigliari e sociali problematici e devianti, confonde il lavoro con una semplice attività finalizzata all’arricchimento personale è un primo grande passo verso la risocializzazione.
Avere un lavoro durante la pena con rispettivo stipendio inoltre permette al detenuto di provvedere personalmente alle proprie spese di cibo, igiene personale, vestiario senza pesare economicamente sulla propria famiglia. Il lavoro è fondamentale per ricostruire e mantenere una propria dignità di cittadino, di uomo. Inoltre, è così che le persone detenute iniziano a interfacciarsi con persone e collaboratori provenienti da contesti differenti dai loro, lontani dal mondo carcerario, favorendo il processo di socializzazione e di fiducia verso il mondo esterno.”
Il vostro progetto non si rivolge solo al singolo detenuto, ma anche alla società nel suo insieme, con l’obiettivo di renderla più equa e sicura. Qual è l’impatto sociale delle vostre attività?
“Un detenuto che non torna a delinquere è un risultato gigantesco per l’intera società, non solo in termini di sicurezza ma anche economici. Non si risparmia solamente sulle spese strettamente collegate alla detenzione ma anch sui costi diretti e indiretti collegati alla commissione del reato. È evidente che abbattere la recidiva comporta un vantaggio e un guadagno economico oltre che etico per tutta la società.
Tuttavia, abbiamo parlato finora degli strumenti messi in atto per permettere una risocializzazione del detenuto, ma è anche vero che avremo successo solo se abbiamo una società pronta ad accogliere e dare fiducia al detenuto. Già dall’inizio mi sono reso conto che oltre alla rieducazione del detenuto manca un’educazione della società all’apertura, all’accoglienza e all’abbattimento di pregiudizi e stereotipi.
Quando abbiamo aperto il pub Vale La Pena, abbiamo commesso l’errore di sottolineare che avrebbero lavorato ragazzi in esecuzione penale, e in breve tempo si è sparsa la voce di un ‘pub di carcerati’. La pausa obbligata dal Covid-19 mi ha permesso di cambiare la comunicazione del pub, puntando di più sul fatto che si somministrassero prodotti realizzati in carcere senza sottolineare se il personale fosse detenuto o meno. Ora chi entra nel pub lo fa senza pregiudizio scoprendo così che chi è stato in carcere non è per forza pieno di tatuaggi, con cicatrici e aggressivo, ma una persona come tutti gli altri, con sogni e ambizioni da raggiungere e propri limiti da superare.”
Come si sostiene e si finanzia la vostra attività? Quali sono i progetti previsti per il futuro?
“La scelta è stata di aprire una società a responsabilità limitata rivolgendoci al mercato privato e finanziario per ottenere un prestito per avviare l’attività. La scelta di creare una srl e non una società senza scopo di lucro, nasce dalla scommessa di incentivare e ispirare altri imprenditori a seguire il profitto e generando allo stesso tempo un impatto s1ociale positivo. Con il pub Vale la Pena abbiamo in programma la creazione di un franchising per dare l’opportunità anche ad altri di investire nell’economia carceraria.”
Richiamo 1
“È fondamentale iniziare a lavorare durante il periodo in carcere”
Richiamo 2
“Educhiamo la società all’apertura, accoglienza e abbattimento di pregiudizi”
Bio
Oscar La Rosa, classe 1987 si laurea alla cattedra di Analisi e valutazione delle politiche pubbliche dell’Università Luiss Guido Carli con il Prof. Antonio La Spina con la tesi “La rieducazione del detenuto attraverso il lavoro in carcere”. Dal 2016 è volontario e direttore dell’associazione Semi di Libertà Onlus, nel 2018 fonda Economia Carceraria srl, l’e-commerce “www.economiacarceraria.com” e nel 2019 apre il Pub Vale la Pena a Roma, primo in Italia a somministrare prodotti realizzati da persone detenute e da ragazzi diversamente abili.