Intervista a Mauro Buzzi, Presidente Federazione Disability Management (FE.D.MAN)
Tutto sulla figura del responsabile dell’inserimento lavorativo: un ponte tra lavoratore e azienda, facilitatore per la crescita professionale delle persone con disabilità
Presidente, innanzitutto ci spiega cosa si intende per diversity hiring? E in che modo sono coinvolte le persone con disabilità?
“Con diversity hiring si intende un approccio al reclutamento, all’assunzione, che mira a superare i pregiudizi legati a delle caratteristiche del candidato o della candidata che non hanno nessuna incidenza sul suo talento o sulle prestazioni lavorative. È un approccio che comporta un ripensamento delle organizzazioni a partire da chi al loro interno opera nei processi di reclutamento affinché valorizzino innanzitutto il merito delle competenze e offrano una valutazione equa di tutti i candidati.
Non si tratta di pregiudizi individuati espressamente: il nostro cervello elabora delle scorciatoie per semplificare la mole di informazioni che quotidianamente riceve e per comprendere la complessità del mondo esterno. Queste scorciatoie, però, si possono tradurre in stereotipi, che sono alla base dei pregiudizi. Come indica il termine stesso, sono dei giudizi anticipati formulati prima ancora dalla conoscenza diretta e approfondita di una situazione o di una persona.
Anche nelle persone più aperte e avanzate si allignano pregiudizi inconsci, quelli che vengono definiti bias cognitivi che influenzano la capacità di elaborare informazioni in modo obiettivo ed equilibrato. E i pregiudizi che riguardano le persone con disabilità hanno radici culturalmente profonde. Ancora oggi il concetto di disabilità viene associato a debolezza, vulnerabilità, sofferenza, sfortuna, o all’inverso all’eroismo, all’unicità. I pregiudizi sulle persone con disabilità sono molto profondi e radicati e la strada per considerare le persone con disabilità prima di tutto Persone, semplicemente diverse come diversi siamo tutti, con i propri diritti e doveri è ancora lunga.
E questo anche nel campo del lavoro. Da questo punto di vista occorre che da parte di chi assume si affermi una cultura che trasformi il tema delle ‘quote’ da un obbligo a cui sottostare in una opportunità da cogliere. E la figura del disability manager può risultare un valido aiuto per individuare e costruire le condizioni migliori per l’inclusione in un contesto aziendale, compresi gli accomodamenti ragionevoli.”
A proposito di disability management, qual è la figura di “responsabile dell’inserimento lavorativo”? Qual è il suo ruolo nelle organizzazioni?
“La figura di disability manager nasce negli anni ‘80 negli Stati Uniti come risposta alla necessità di abbattere i costi della disabilità e delle condizioni di salute nei confronti delle aziende e del sistema assicurativo alla base del sistema sanitario americano. In Italia il disability manager prende il nome di responsabile dell’inserimento lavorativo e ha un identikit normativamente chiaro delineato prima dal Jobs Act, poi dalla legge Madia (che lo ha reso obbligatorio in tutte le pubbliche amministrazioni) e ancora recentemente dalle ‘Linee guida sul collocamento mirato’.
In questo contesto normativo il/la responsabile dell’inserimento lavorativo è definito come colui/colei che ha una funzione di facilitazione e di mediazione che interviene a partire dall’ingresso nel mondo del lavoro e nel contesto lavorativo della persona con disabilità, seguendola nell’intero percorso lavorativo e accompagnandola nella sua permanenza lavorativa all’interno dell’azienda, nella possibilità di fare carriera e di formazione. È una figura che serve all’azienda perché deve mediare e facilitare le esigenze del lavoratore valorizzandone le capacità e le potenzialità con le necessità di produttività dell’azienda. L’obiettivo? Rendere il rapporto tra datore e lavoratore con disabilità in un’ottica win-win, positivo per entrambe le parti.
Le linee guida sul collocamento mirato individuano anche le competenze che questa figura deve avere. A partire, ovviamente da quelle sulla disabilità, così come sugli ausili necessari e sugli accomodamenti ragionevoli, ma anche in termini organizzativi, cioè deve conoscere l’azienda e i processi aziendali, deve essere in grado di individuare quali soluzioni organizzative possono favorire quella mediazione tra lavoratore e azienda.
Tuttavia, a fronte di questo identikit molto preciso, da una parte accade che nelle pubbliche amministrazioni il responsabile dell’inserimento lavorativo non è ancora del tutto presente. Nel settore privato comincia a essere presente, anche alla luce della maggiore attenzione nei confronti del tema della responsabilità sociale d’impresa. C’è però un problema di individuazione a livello nazionale di quali devono essere le competenze professionali che la figura, in virtù della delicata attività che deve svolgere, deve avere. Questo ancora manca ed è la ragione per cui siamo nati come federazione.”
E quali sono queste competenze?
“Deve sapere dove andare a cercare, conoscere che cosa significa l’accomodamento ragionevole. Deve avere competenze relative alle tecnologie così come quelle che riguardano le modifiche organizzative. Per alcune tipologie di disabilità sono necessarie tecnologie particolari, bisogna quindi sapere che esistono e quali mettere a disposizione. Necessaria, infine, una solida formazione rispetto a quello che significa disabilità e quelle che sono le varie disabilità e le limitazioni che possono presentarsi a fronte di un’organizzazione che non tiene conto delle esigenze della persona con disabilità.
Occorre poi avere delle nozioni di sociologia del lavoro, di psicologia, di organizzazione del lavoro, conoscere i contratti nazionali di lavoro e le normative che accompagnano l’ingresso e la permanenza nel lavoro. Sono quindi competenze specifiche, alcune traslabili da altre figure professionali, altre specifiche che vanno individuate. Oggi solo alcune Regioni lo hanno fatto: Lombardia, Lazio, Sardegna e Valle d’Aosta sono le uniche quattro che nel loro quadro dei profili professionali hanno definito le competenze per il disability manager. Non è però pensabile che la definizione di competenze che riguardano una attività che viene svolta in tutto il Paese sia una attività lasciata esclusivamente alla volontà o alla lungimiranza delle Regioni.”
Abbiamo parlato molto del settore pubblico. Invece per le organizzazioni private?
“Se le aziende vengono obbligate ad avere il disability manager, qualche problema potrebbe nascere così come è nato nel momento in cui si è introdotta la normazione sulla sicurezza sul lavoro, anche se poi a mano a mano che ha preso piede nelle aziende si è trovato un equilibrio. Credo che le aziende abbiano bisogno di essere aiutate a sapere dove andare a rivolgersi nel momento in cui vogliono, possono e devono assumere persone con disabilità o nel momento in cui si trovano di fronte a dipendenti che durante il percorso lavorativo hanno un problema, una patologia, una cronicità. Le aziende devono avere chiaro che ci sono dei professionisti competenti che sono in grado di accompagnarle nella gestione di quelli che per loro potrebbero essere considerati problemi insormontabili.”
A livello normativo italiano ed europeo quali sono le garanzie per un equo accesso al lavoro?
“Alcuni paesi hanno già una propria tradizione. Pensiamo a quelli scandinavi e anglosassoni con una più lunga tradizione di presenza della figura professionale di disability manager. Altri che non ce l’hanno, invece, la stanno costruendo. Il mondo occidentale sta vivendo un processo di acquisizione di consapevolezza. Un processo che è segnato a partire dalla Convenzione Onu sui Diritti delle persone con disabilità. Nella Convenzione si fa riferimento agli accomodamenti ragionevoli e alle modalità di utilizzo di questo strumento per garantire la completa inclusione delle persone con disabilità nel mondo del lavoro e si specifica nei commenti del Comitato sull’attuazione della Convenzione che gli accomodamenti ragionevoli devono essere accompagnati da professionisti in grado di fare questo lavoro.
C’è poi la Direttiva 2000/78 della Commissione Europea, che affronta il tema della discriminazione nel rapporto di lavoro. Tema alla base di questo nuovo approccio di diversity & disability hiring perché la discriminazione indiretta è sempre dietro l’angolo. E se le aziende vogliono proteggersi dalla possibilità di incorrere in pratiche di discriminazione indiretta devono affidarsi a figure che siano in grado di individuare quali sono questi elementi per evitarli. Queste figure sono, appunto, i disability manager.”
di Susanna Fiorletta