LEGITTIMITÀ SOCIALE: IL VERO VALORE DELL’IMPRESA 

Intervista a Marcella Mallen, Presidente di ASviS, l’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile

 

Per creare ambienti lavorativi equi e inclusivi è cruciale garantire condizioni di lavoro sicure, dignitose e rispettose dei diritti umani

 

Presidente, partiamo dall’acronimo ESG (Environmental, Social, Governance). L’adozione di questi principi è sempre più rilevante per valutare la sostenibilità delle imprese. Particolare attenzione al fattore S, alla sostenibilità sociale tanto delle imprese quanto dei governi, per un’economia più inclusiva in cui vengono garantiti pari opportunità e diritti per tutti, indipendentemente dal background sociale ed economico, etnia, genere, orientamento sessuale, abilità fisiche delle persone. A che punto siamo in Italia? 

“Negli ultimi anni, anche sulla spinta delle politiche europee, la trasformazione delle aziende in senso sostenibile ha subìto un’accelerazione. Secondo i dati Istat più recenti, in Italia circa il 60% delle imprese ha avviato un percorso per integrare la sostenibilità nel proprio modello di business, con rilevanti differenze tra le grandi imprese – di cui l’81,5% si è attivata – e le Pmi, di cui solo il 36,1% si stanno muovendo in questa direzione.

In un’epoca in cui la sostenibilità è una priorità globale, il valore di un’impresa e la sua attrattività non si misurano più solo in base alle risposte che fornisce alla domanda di beni e servizi e al profitto che riesce a ottenere, ma anche per le risposte che è in grado di dare alla domanda di responsabilità sociale. In altri termini, il valore di un’impresa non si fonda più unicamente sulla sua legittimazione economica, ma anche sulla sua legittimazione sociale. Nella legittimazione sociale troviamo il riconoscimento che i beni e i servizi prodotti siano di qualità, vengano offerti a un prezzo equo, li si produca nel pieno rispetto dei diritti umani e sociali, a partire dalle condizioni di lavoro, con il coinvolgimento delle parti sociali, seguendo i principi della contrattazione collettiva e della parità di genere. 

È un percorso che può essere anche lungo e difficile, poiché richiede di integrare la sostenibilità in ogni aspetto delle attività produttive, dalla gestione degli approvvigionamenti ai processi produttivi fino alla comunicazione. Un percorso, però, obbligato, al punto da poter affermare di essere di fronte a una rivoluzione, con conseguenze rilevanti sia sui rapporti esterni dell’impresa, sia sui processi interni. Pensiamo alla nuova attenzione richiesta alla qualità e sicurezza del lavoro, alla conciliazione tra lavoro e famiglia, al supporto alla genitorialità, alla gestione dell’età e della disabilità.

Un forte impulso all’evoluzione della cultura d’impresa in ottica di sostenibilità è arrivato dalla direttiva Corporate Sustainability Reporting (CSRD), che ha ampliato il numero di aziende obbligate a redigere report di sostenibilità in termini di impatto ambientale, diritti sociali, diritti umani e fattori di governance. A partire dal 2025, le grandi imprese non quotate saranno tenute a conformarsi, mentre per le piccole e medie imprese quotate l’obbligo scatterà dal 2026. L’obiettivo è aumentare la trasparenza in materia ambientale, sociale e di governance, contrastare il greenwashing e rafforzare l’impronta sostenibile dell’economia e del mercato europeo, portando progressivamente la rendicontazione di sostenibilità allo stesso livello di qualità e rilevanza del tradizionale reporting economico-finanziario. Il tutto con la finalità di incidere sulla sensibilità e la cultura di tutte le imprese, nel senso di incorporare sistematicamente, e quasi naturalmente, le considerazioni relative allo sviluppo sostenibile nei processi strategici, decisionali e valutativi.

Questi cambiamenti hanno importanti implicazioni sul versante delle politiche pubbliche, che dovranno sostenere le imprese, specialmente le Pmi, nei processi per potenziare la digitalizzazione dell’informazione nonché la qualità e la comparabilità dei rating/scoring ESG a livello europeo e internazionale. Sarà inoltre indispensabile coinvolgere attivamente sindacati, associazioni di consumatori e la società civile per integrare principi avanzati di ‘Substantial Contribution’. Solo così si potrà realizzare davvero una transizione responsabile, capace di portare sviluppo nei territori, basandosi sul principio della deliberazione partecipata e collaborativa, dove il contributo delle imprese non sia solo economico ma anche sociale e ambientale.

 

Il Goal 5 dell’Agenda 2030 riguarda la parità di genere. Raggiungere l’uguaglianza ma anche l’empowerment delle donne nel mondo non deve rimanere solo un auspicio. Un obiettivo che si estende oltre l’ambito lavorativo, nella sfera sociale e privata. Aziende e governi nel nostro Paese sono in linea con i target?

“Dall’adozione dell’Agenda 2030 nel 2015 ad oggi l’Italia ha registrato sulla parità di genere diversi passi in avanti come evidenziato nel Rapporto ASviS 2023. In particolare, gli ultimi anni hanno mostrato: una crescita di attenzione riguardo la presenza delle donne in alcuni ambiti lavorativi e in ruoli apicali, inclusi i consigli di amministrazione; l’accesso alla formazione nelle discipline STEM; la rimozione di ostacoli e difficoltà nell’accesso al credito; l’aumento della speranza di vita e della quota di occupate (55% nel 2022, +2,9 punti rispetto al 2020), una riduzione del part-time involontario.  

Questi progressi sono tuttavia ancora insufficienti, soprattutto se confrontati con la media europea e con le classifiche mondiali. L’Italia risulta al 79esimo posto su 146 Paesi nel Global Gender Gap Report 2023, un calo di 16 posizioni rispetto al 2022. Al ritmo attuale la parità di genere potrebbe essere raggiunta solo tra molti decenni. Da evidenziare poi le profonde disuguaglianze territoriali che caratterizzano il nostro Paese. 

Tra le principali lacune individuate dal Rapporto ASviS ci sono le carenze nel welfare, che non supporta adeguatamente le donne nel conciliare lavoro e famiglia, con un impatto negativo anche sul tasso di natalità. Persistono poi forme di violenza di genere, che colpiscono le donne in ambito familiare, lavorativo, sanitario ed economico, con il femminicidio come manifestazione più estrema. Nel 2022, si sono registrati 125 femminicidi, a dimostrazione della gravità del problema. La legge n.69 del 2019, nota come ‘Codice Rosso’ ha rappresentato un passo importante nel contrasto alla violenza di genere, introducendo modifiche al Codice penale e rafforzando le tutele per le vittime. Tuttavia, molto resta ancora da fare per affrontare efficacemente la violenza contro le donne e per garantire loro pari diritti e opportunità in ogni ambito della società.”

 

Lavoro dignitoso e crescita economica sono riuniti sotto lo stesso Goal 8. Qual è la correlazione tra i due? 

“L’Agenda 2030 colloca il lavoro dignitoso per tutti i lavoratori e tutte le lavoratrici al centro delle politiche per lo sviluppo e per una crescita sostenibile e inclusiva. In questo senso lavoro dignitoso e crescita economica sono strettamente interconnessi, poiché l’uno influisce direttamente sull’altra in modo positivo e reciproco. La crescita economica da sola non è sufficiente, deve essere accompagnata da politiche volte a garantire che i nuovi posti di lavoro siano dignitosi e rispettino i diritti fondamentali dei lavoratori. Cosa si intende per lavoro dignitoso? Quello che fa vivere le persone tranquillamente, assicura la crescita professionale e l’inclusione sociale, garantisce una retribuzione regolare e adeguata, permette di trovare il giusto equilibrio tra i tempi di vita e i tempi di lavoro, generando benessere e salute, riducendo i rischi di infortuni e malattie. Per realizzarlo è necessario dedicare spazi e momenti di ascolto negli ambienti di lavoro, costruire relazioni di qualità, mettere al centro il riconoscimento e la tutela dei diritti delle persone.

Il lavoro dignitoso rappresenta un motore fondamentale per la crescita economica. Quando i lavoratori godono di tali condizioni, infatti, la loro produttività aumenta, migliorando così l’efficienza generale delle aziende e l’economia nel suo complesso. Inoltre, un lavoro dignitoso favorisce l’inclusione sociale e riduce le disuguaglianze, garantendo che i benefici della crescita economica siano distribuiti in modo più equo. Una crescita economica sostenibile e inclusiva inoltre crea le condizioni per l’espansione del mercato del lavoro, aumentando le opportunità di impiego. Investire in settori strategici e innovativi può generare posti di lavoro di qualità, contribuendo a migliorare il tenore di vita della popolazione.”

 

Il Goal 10 indica invece che entro il 2030 dovremo raggiungere e sostenere progressivamente la crescita del reddito del 40% più povero della popolazione a un tasso superiore rispetto alla media nazionale, nonché potenziare e promuovere l’inclusione sociale, economica e politica di tutti. Un obiettivo molto ampio, come lo si realizza?

“Le crisi economiche degli ultimi anni hanno acuito le disuguaglianze, specialmente in aree già vulnerabili come le periferie urbane e le zone interne del Paese. Di fronte a un aumento della povertà e delle disparità territoriali, è necessario intervenire con misure efficaci. 

Come ASviS abbiamo avanzato diverse proposte per ridurre la forbice delle disuguaglianze. Una prima azione riguarda la redistribuzione del carico fiscale. Rafforzare la progressività del sistema fiscale, facendo sì che chi ha di più contribuisca in modo più consistente, è essenziale per riequilibrare le disuguaglianze di reddito. Questo implica anche una revisione del regime fiscale che attualmente favorisce le rendite finanziarie e i trasferimenti di ricchezza, in modo da ridurre il peso fiscale sulle fasce più vulnerabili. Un altro elemento chiave è la riforma del catasto, che permetterebbe di migliorare l’equità orizzontale e verticale del sistema tributario. Questo garantirebbe che il valore degli immobili venga valutato in modo equo, evitando che pesi sproporzionatamente sulle fasce meno abbienti.

Una delle sfide più urgenti è poi quella di far emergere la ricchezza sommersa. Potenziare i controlli e l’interoperabilità delle banche dati potrebbe permettere di individuare in modo più efficace i redditi non dichiarati, evitando al contempo politiche di condono fiscale che finiscono per favorire i comportamenti evasivi.

Non meno importante è l’attenzione alle transizioni ecologica e digitale. Se non ben gestite, queste trasformazioni potrebbero incrementare le disuguaglianze, escludendo le fasce più deboli della popolazione dai benefici di un’economia più sostenibile. Gli strumenti per la sostenibilità ambientale devono essere progettati in modo da favorire chi è più vulnerabile, garantendo che non siano proprio i gruppi più svantaggiati a pagare il prezzo delle transizioni.

Infine, un tema cruciale riguarda l’assistenza agli anziani non autosufficienti. Con il progressivo invecchiamento della popolazione, è fondamentale attuare una riforma del sistema assistenziale, aumentando le risorse pubbliche dedicate e procedendo speditamente con la stesura dei decreti legislativi che garantiscano un sostegno adeguato a chi ne ha bisogno.

In sintesi, il raggiungimento del Goal 10 dell’Agenda 2030 richiede politiche di redistribuzione economica, riforme fiscali e attenzione alle transizioni in corso, il tutto in un quadro di interventi sociali che promuovano l’inclusione e riducano le disuguaglianze strutturali del Paese.”

 

Tra gli obiettivi, infine, anche quello di promuovere e far rispettare le leggi e le politiche non discriminatorie per lo sviluppo sostenibile. Come si applica, in particolare, al mondo del lavoro?

“L’applicazione di politiche non discriminatorie nel mondo del lavoro è cruciale per garantire uno sviluppo sostenibile e inclusivo. Ciò si traduce in vari ambiti d’intervento. In primo luogo, promuovere l’uguaglianza di genere e l’inclusione di minoranze etniche e gruppi vulnerabili nel mercato del lavoro contribuisce a ridurre le disuguaglianze economiche e sociali. L’implementazione di politiche salariali eque è un altro elemento essenziale per prevenire la discriminazione e promuovere la giustizia sociale. Per creare ambienti lavorativi equi e inclusivi è inoltre cruciale garantire condizioni di lavoro sicure, dignitose e rispettose dei diritti umani. 

Le leggi che proibiscono la discriminazione basata su genere, etnia, religione o disabilità non sono sufficienti se non accompagnate da un cambiamento culturale all’interno delle organizzazioni. In questo contesto, il ruolo delle politiche aziendali e delle pratiche di responsabilità sociale diventa fondamentale per sostenere la diversità, combattere la discriminazione e promuovere il rispetto delle differenze. Rafforzare la formazione e la sensibilizzazione sui temi della diversità e dei diritti sul posto di lavoro è un’altra strategia efficace per garantire che tutti i lavoratori abbiano le stesse opportunità di accesso, sviluppo e successo professionale. In sintesi, l’adozione di politiche e pratiche non discriminatorie nel lavoro non solo rispetta i diritti fondamentali, ma contribuisce attivamente alla costruzione di un’economia più giusta e inclusiva, pilastro essenziale per uno sviluppo sostenibile a lungo termine.”

 

Bio

Marcella Mallen è Presidente dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS) oltre a ricoprire la carica di Presidente di Fondazione Prioritalia. Da luglio 2011 a novembre 2014 è stata Presidente del Centro formazione management del terziario (Cfmt) e Vicepresidente del Cibiesse – Cfmt business school. Da luglio 2007 a maggio 2016 ha ricoperto la carica di Presidente in Manageritalia Roma.