OLTRE IL SOCIAL WASHING: CREARE  UN IMPATTO SOCIALE SOSTENIBILE E DURATURO

Intervista a Francesca Buttara, Membro del Comitato Scientifico di SuperJob

 

Costruire una strategia a lungo termine e avere un approccio partecipativo: ecco la chiave per un futuro più equo e competitivo 

 

Oggi parliamo molto di sostenibilità sociale. Ma cosa significa veramente? E qual è il reale impatto sul tessuto socioeconomico?

“La sostenibilità sociale è un concetto che spesso rischia di essere sovrapposto ad altri, come per esempio quello di sostenibilità ambientale o economica. In realtà la nozione ha una dimensione specifica e a sé stante. In sintesi, si tratta di promuovere equità, giustizia e inclusione in tutte le sfere della società e costruire una collettività che sia capace di rispondere ai bisogni delle generazioni attuali senza compromettere la capacità delle future generazioni di soddisfare i propri. Ciò si traduce in un impegno verso la riduzione delle diseguaglianze e la creazione di opportunità per tutti, indipendentemente dal genere, dall’etnia, dalla condizione economica o dalle abilità. 

Per raggiungere questi scopi, istituzioni e aziende devono adottare politiche che garantiscano salari equi, condizioni di lavoro sicure e un accesso universale a servizi essenziali come l’istruzione e la sanità. Politiche con un impatto molto profondo anche sul tessuto socioeconomico. Un’azienda che adotta pratiche socialmente sostenibili crea un ambiente di lavoro più giusto e inclusivo, migliorando anche la propria competitività. Esistono diversi studi che confermano queste esternalità positive. Le imprese che investono in parità di genere e in welfare aziendale hanno una maggiore capacità di attrarre e trattenere i talenti, innovare e rispondere anche alle crisi economiche. In questo modo l’impatto della sostenibilità sociale si estende al benessere complessivo di una comunità o dell’economia nel suo complesso.” 

 

 Come si può produrre un impatto sociale che sia duraturo?

“Il punto di partenza è riconoscere che non basta agire soltanto su iniziative a breve termine o su progetti isolati. La chiave risiede nella costruzione di una strategia che sia veramente a lungo termine e integrata il più possibile nella cultura organizzativa. Prima di tutto, un impatto duraturo richiede un impegno autentico, vero e sentito da parte della leadership. Dirigenti e manager devono essere i primi a promuovere e incarnare i valori della sostenibilità sociale. Soltanto quando questo impegno è visibile e diventa parte integrante della governance aziendale allora le politiche possono radicarsi a tutti i livelli dell’organizzazione. Un approccio di questo tipo permette continuità e di evitare che tali iniziative siano percepite come ‘di facciata’ o temporanee.

Secondo elemento: l’impatto sociale diventa duraturo quando è frutto di un coinvolgimento attivo di tutti gli attori della filiera aziendale. Questo significa che dipendenti, fornitori e partner devono essere inclusi nel processo decisionale e nelle azioni messe in campo. Quando le persone si sentono parte di un progetto di conseguenza sono più motivate a contribuire e a far sì che gli obiettivi sociali vengano raggiunti. È un approccio partecipativo che aiuta a costruire quel senso di responsabilità collettiva, essenziale per mantenere vivo l’impegno sociale nel tempo. È poi fondamentale costruire delle alleanze con attori esterni, che possono essere organizzazioni non governative, associazioni, istituzioni nazionali e locali, organizzazioni internazionali. Un fattore determinante, appunto, è tessere relazioni che possano durare nel tempo, perché queste partnership poi permettono di moltiplicare gli effetti delle azioni intraprese, combinando insieme risorse, esperienze e reti di supporto.”

 

 Dobbiamo parlare anche del grande tema delle donne all’interno delle aziende. Soprattutto in posizioni manageriali e nei board – e quindi nei processi decisionali. Perché è importante e necessario?

“Vorrei partire da un dato positivo: l’Italia è tra i paesi leader in Europa per la presenza di donne nei consigli di amministrazione delle società quotate in borsa. Secondo il rapporto sulla corporate governance delle società quotate pubblicato dalla Consob, alla fine del 2023 le donne occupavano circa il 43% dei posti nei consigli di amministrazione. Un passo significativo rispetto al 7% del 2011, anno in cui è stata approvata la legge Golfo-Mosca. Altri Paesi come Francia e Norvegia  sono poco sopra di noi, quindi possiamo dire che stiamo facendo passi in avanti importanti. 

Tuttavia, se da un lato vediamo numeri incoraggianti, dall’altro c’è ancora molto da fare, soprattutto ai livelli apicali. Le donne CEO o presidenti di grandi aziende sono ancora, purtroppo, una rarità. Secondo un rapporto Deloitte, soltanto il 4% dei CEO delle società quotate a Piazza Affari è donna e soltanto il 25% delle posizioni manageriali è ricoperto da donne. Questo squilibrio indica chiaramente che il cammino verso la parità di genere, soprattutto nelle posizioni decisionali, è tutt’altro che completato. 

Fare progressi in questa direzione non è soltanto un tema di giustizia sociale. Studi dimostrano come le aziende con una maggiore rappresentanza femminile nei consigli di amministrazione ottengono profitti superiori alla media. C’è poi anche un altro aspetto altrettanto importante: un board inclusivo porta prospettive diverse, esperienze uniche, stili di leadership che arricchiscono il processo decisionale. In un mondo in cui le crisi globali si susseguono con sempre maggiore intensità, avere un consiglio di amministrazione che rappresenta più voci è fondamentale per rispondere in maniera efficace alle sfide di un mercato in continua evoluzione. Ecco perché investire nella parità di genere non è soltanto necessario, ma è anche strategico per il successo delle aziende.”

 

Lei viene dal mondo dello sport. Un mondo sempre più inclusivo?

“Rispondo alla domanda secondo due prospettive diverse. La prima è quella sociale. Lo sport è inclusivo per antonomasia, ha davvero il potere di ‘cambiare il mondo’ come disse Nelson Mandela in un suo celebre discorso. È uno strumento potentissimo per promuovere l’inclusione sociale. Fare attività fisica insegna valori fondamentali quali il lavoro di squadra e il rispetto reciproco, e aumenta la conoscenza di sé e degli altri. È un’occasione unica per creare degli spazi di interazione tra persone con culture, abilità e origini diverse. Spesso, per i giovani ai margini lo sport rappresenta una via per esprimersi, per crescere in un ambiente positivo. Un esempio ispiratore è quello di Daniele Cassioli, campione mondiale di sci nautico, non vedente dalla nascita, che ho avuto il piacere di incontrare a Milano in occasione della charity night di Fondazione Laureus, organizzazione internazionale che lavora su progetti sociali attraverso lo sport. Daniele ha raccontato come l’inclusione non è un tema che riguarda solo chi si confronta ogni giorno con una disabilità, o una diversità, ma tutta la società. Includere persone diverse arricchisce non solo chi viene incluso ma tutti, e lo sport in questo senso è uno strumento formidabile. 

Veniamo ora alla seconda prospettiva: quella di carattere industriale. In questo contesto c’è molto da fare per quanto riguarda l’inclusione di donne e di giovani. Secondo una ricerca del Censis su oltre 4,7 milioni di atleti tesserati, le donne rappresentano solo il 28% e le percentuali sono ancora più basse nelle posizioni tecniche e dirigenziali, con il 20% di allenatrici e il 15% di dirigenti donne. Uno squilibrio che va assolutamente colmato.Per innescare un cambiamento è necessario che dalle posizioni di leadership arrivi un segnale chiaro. E su questo il CONI può fare molto.”

 

Un’ultima battuta sulla comunicazione. Sappiamo che fare è importante, ma lo è altrettanto comunicarlo. Come?

“La comunicazione in ambito sociale e della sostenibilità è un elemento centrale, strategico. La capacità di un’organizzazione di raccontare quello che fa nel modo più efficace possibile fa la differenza, soprattutto in un contesto dove la reputazione è sempre più importante. Non basta fare bene, è necessario comunicarlo in maniera chiara, trasparente e soprattutto coerente con i propri valori aziendali. 

Chiunque operi nel campo della sostenibilità sa bene che la credibilità si costruisce con i fatti e quindi anche la comunicazione deve basarsi su dati e risultati concreti. Le persone, oggi, non cercano più solo prodotti o servizi, ma esperienze, valori e comportamenti che riflettano un impegno reale verso tematiche come l’inclusione o l’ambiente. È quindi fondamentale che ogni messaggio sia supportato da iniziative autentiche, evitando di fare greenwashing o social washing. Il secondo aspetto riguarda la coerenza. È infatti importante avere una comunicazione che non sia frammentata ma integrata su tutti i canali, dalla carta stampata ai social media. Ogni punto di contatto deve riflettere lo stesso messaggio e la stessa visione.

Infine, la comunicazione deve evolversi e adattarsi ai contesti. Un’azienda che collega la propria comunicazione ai grandi temi globali, come il cambiamento climatico o la diversità, non soltanto dimostra di essere al passo con i tempi ma anche il proprio impegno a lungo termine in questioni che riguardano tutta la società. Tuttavia, è importante non limitarsi a seguire i trend ma essere coerenti con le proprie radici e missione aziendale. Solo in questo modo il pubblico potrà percepire un impegno vero e non opportunistico. La parola chiave penso sia fiducia: è importante costruirla, è ancora più importante mantenerla.”

 

Bio

Manager esperta nel campo del public affairs e della comunicazione strategica, con oltre 15 anni di esperienza nella gestione di progetti complessi. Fondatrice di Dowell, supporta oggi organizzazioni pubbliche e private nelle attività di relazioni istituzionali e comunicazione, con un focus particolare sui principali stakeholder dell’industria sportiva. In precedenza, ha guidato le attività di public affairs e corporate communication della Lega Pro (Serie C di calcio). Ha maturato significative esperienze professionali in UnipolSai Assicurazioni, Deloitte, Reti, e presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Laureata in Scienze Politiche alla Luiss Guido Carli di Roma, ha ulteriormente arricchito la sua formazione con un Executive in Corporate Communication and Stakeholder Engagement presso la Luiss Business School. È membro del Comitato Scientifico di Super Job e caporedattore di Parlamento Magazine.