Il lavoro è un diritto fondamentale dell’uomo, tutelato dalla Costituzione. Ancora di più lo è per le persone con disabilità, spesso emarginate nel lavoro.
di Isabella Schiavone, Vice caporedattrice RAI e istruttrice Mindfulness (www.isabellaschiavone.com)
Mario (il nome è di fantasia) mi invia un video in cui mostra con fierezza il suo nuovo lavoro di doppiatore.
Mario ha la sindrome dello spettro autistico. Ma ciò non gli impedisce di suonare in un gruppo musicale, uscire, viaggiare con gli amici, studiare, lavorare.
Ho conosciuto Mario in occasione di una manifestazione di PizzAut, progetto visionario di papà Nico, che raccontai anni fa al Tg1 quando era ancora sconosciuto: un modello innovativo di inclusione sociale da cui prendere esempio, che unisce il mondo della ristorazione con quello dell’autismo. Un laboratorio, umano e professionale, che dimostra come le barriere sono spesso solo negli occhi di chi guarda. Nico dà la possibilità ai ragazzi con sindrome dello spettro autistico, proprio come suo figlio, di inserirsi in un contesto professionale come cuochi, camerieri, assistenti tuttofare, dando loro dignità ed autonomia attraverso il lavoro. Mentre loro nutrono le persone, insieme nutrono l’inclusione.
Esperienza simile avviene nell’Albergo Etico di Antonio Pelosi a Roma (ce n’è un altro in Piemonte), che integra ragazzi con vari tipi di disabilità e li fa crescere professionalmente affiancati da professionisti del settore. Così, c’è chi sta alla reception, chi fa le pulizie, chi serve ai tavoli.
Il lavoro è talmente importante per l’essere umano, che lo troviamo all’articolo 1 della Costituzione: “L’Italia è una Repubblica democratica basata sul lavoro”. Ancora di più lo è per le persone con disabilità, spesso emarginate da ruoli e compiti in ambito professionale, perché non corrispondono ad uno stereotipo, ad un modello di efficienza e di comportamento al quale siamo abituati.
E’ superfluo ricordare quanto sia importante per tutti, e a maggior ragione per una persona con disabilità, l’integrazione, l’autonomia e la realizzazione professionale. Ci tengo di più ad evidenziare quanto beneficio apporterebbe al lavoro. In una redazione giornalistica, ad esempio, avere una visione diversa dei fatti è un grande arricchimento. Guardare le cose da un’altra prospettiva è sinonimo di una maggiore apertura mentale, che inevitabilmente stimola un confronto costruttivo ed una crescita, professionale ed umana.
Ricordo di aver raccontato, anni fa, di persone malate di Sla che scrivono un giornale con gli occhi, attraverso l’ausilio di tecnologia avanzata. I loro articoli avevano una profondità ed uno spessore che raramente si legge e che ricordo mi colpirono molto. Come quando lessi il libro di Rosanna Benzi, che viveva in un polmone d’acciaio, trovato nella libreria di casa in un pomeriggio pigro quando ero poco più che una bambina. Quel libro mi toccò moltissimo ed ebbe probabilmente un ruolo nella mia formazione: trasmetteva una profondità umana, una sensibilità ed una testimonianza dell’esperienza di vita della sua autrice, che mi fecero sentire parte di un tutto più vasto, accogliente ed immenso. Il mondo. Un mondo dove la diversità è universale, perché siamo tutti diversi gli uni dagli altri. E, per abbattere le barriere, il primo lavoro da fare è su stessi: su come si guarda il mondo e cosa si è disponibili ad imparare da ogni incontro umano e da ogni esperienza. Proprio come fanno i bambini, con occhi e cuore puro, nei loro lunghi pomeriggi di gioco e lavoro per diventare adulti.